Intelligenza Artificiale creativa

di Cinzia Macchi | Articoli in pillole

Indice

1. L’Arte Generativa

2. Ai-da

3. Altre creazioni artificiali

4.Will robots take my job?

5. Conclusioni

Interessante campo di applicazione dell’AI

Crediti immagine

Trovo molto affascinante il binomio creatività e AI. Come nel film I, robot con Will Smith del 2004, in cui uno dei tanti umanoidi in circolazione nel futuro, grazie ad un’anomalia del sistema, riesce a provare emozioni e capace, non solo di diventare il leader di un’intera generazione di macchine, ma anche di sognare e soprattutto di disegnare quanto vissuto in quello stato simile al nostro sonno.

L’Arte Generativa

Con questo strano termine, ci si riferisce ad un tipo di arte creata tramite un sistema autonomo, non umano, che determina tutte le caratteristiche dell’opera.

Gli elementi di questa creazione sono: l’artista generativo – in pratica l’essere umano – che inventa l’algoritmo e giudica l’estetica del risultato; l’algoritmo che codifica le regole necessarie per generare l’opera; infine, il sistema autonomo che esegue e realizza l’opera. La pratica artistica generativa si differenza da quella classica, perché non contempla l’intenzionalità: l’elaborazione avviene in maniera auto-organizzativa, tramite processi autonomi, tipicamente quelli dell’Intelligenza Artificiale. Quest’arte è un nuovo processo per dare vita ad opere artistiche, in alternativa a quelle create dagli esseri umani.

Ciò significa che utilizzare l’AI applicata ad un robot per creare arte non è un concetto super recente, al contrario, è da anni che diversi progetti sono realizzati con lo scopo di dimostrare tale abilità, mettendola – perché no – al servizio di noi umani, artisti e non.

Artisti digitali o cibernetici?

Un’artista digitale è colui che crea un’opera d’arte su supporto digitale, ad esempio un tablet o un computer. Ben diverso è un artista cibernetico, che, invece, realizza opere grazie alla sua AI, ossia ad un algoritmo che gli (le) permette di generare un’opera unica. In ogni caso, è l’essere umano all’origine di tutto.

Notizia curiosa

Qualche giorno fa, una notizia particolare, ma alquanto formidabile, ha attirato la mia attenzione: il robot umanoide Ai-Da è stato “arrestato” in Egitto, perché ritenuto una spia. Il robot, era stato avvistato nei pressi della piramide di Cheope, dove si era recato, insieme al suo creatore Aidan Meller, per esibire le sue opere al festival Forever is Now.

L’artista, così è stata definita, ha destato subito sospetti nelle autorità egiziane per via delle telecamere impiantate negli occhi, che gli (in questo caso le, trattandosi di una donna robot) permettevano, se avesse voluto, di riprendere ogni momento della sua permanenza nel Paese.

L’evento artistico ha rischiato persino di essere cancellato, perché Ai-da è uno degli artisti più attesi. Per fortuna, è stata rilasciata, insieme al suo creatore, dopo circa dieci giorni, permettendole infine di partecipare all’esposizione: ha esibito un robot mummificato, una specie di enigma eterno. Come ben potete intuire, l’opera è notevole e apre diversi interrogativi.

Vi lascio ammirare non solo quest’opera, ma anche quelle degli altri altri artisti: potrete giudicare voi stessi.

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Ai-da

Origine di Ai-da

Il suo nome è una derivazione intelligente da Ada Lovelace, la prima donna della storia ad aver creato un algoritmo per generare i numeri di Bernoulli, nella prima metà dell’800. Esiste già un linguaggio di programmazione a lei dedicato, l’ADA, molto usato negli equipaggiamenti avionici installati sugli aeroplani. Ora ricorderemo questa programmatrice all’avanguardia anche attraverso questo interessante prodotto della moderna tecnologia.

Chi è Ai-da?

Date pure un’occhiata al sito ufficiale.

Ai-Da è un’artista cibernetico a tutti gli effetti: governata da un algoritmo (per definizione digitale), dipinge su un supporto fisico e realizza sculture. Ho visto alcune sue opere: incredibili. Sa usare diversi stili, miscela alla perfezione colori e forme. È capace di ritrarsi in varie espressioni e versioni.

Guardarla in azione in un video, è senza dubbio molto più esplicativo di una descrizione a parole:

Da parte mia, seguivo con interesse Ai-Da da qualche tempo perché, come sapete, sono molto appassionata di AI e delle relative applicazioni, non solo nel campo della tecnologia, ma anche in ambito medico e soprattutto creativo. In particolare, mi incuriosisce molto capire fino a che punto i robot possono essere considerati al pari degli esseri umani in alcune discipline, tra cui l’arte.

In effetti, curiosando nel sito ufficiale, si evince immediatamente lo scopo di questo robot umanoide: creare arte dagli umani per gli umani non è l’unico modo. In passato i Greci, ad esempio, creavano per i loro dei e da essi ricevevano l’ispirazione. Pertanto, in un mondo in cui l’umanesimo sta concedendo spazio ad altre forme di vita, è giusto accettare anche altre forme di arte.

Come opera Ai-da?

Il robot umanoide osserva il mondo circostante con i suoi occhi, nei quali risiedono telecamere, interpreta ciò che ha visto tramite un algoritmo e lo trasforma in arte grazie al suo braccio robotico. Come dicevo all’inizio dell’articolo, non è una novità assoluta. Tuttavia, Ai-da è uno dei più famosi esperimenti in questo senso. Nelle sue opere, molto spesso ritrae sé stessa, in diverse forme e colori.

È, infatti, capace di realizzare ritratti, paesaggi astratti e sculture. In pratica, un’artista a tutto tondo. Non per nulla, ha esibito le sue creazioni in diversi Musei, tra cui Tate Modern e Victoria&Albert Museum, e ha venduto le sue opere per svariati milioni di euro.

Che sia “giusta” o meno una tale valutazione, si tratta pur sempre di opere uniche e realizzate a mano (ovviamente, da una mano meccanica, ma poco importa).

Infine, ha anche partecipato ad un TEDx, spiegando al pubblico il suo intento e il perché crea opere. Curioso persino il modo di approcciare il monologo, le parole usate, nonché i suoi ragionamenti. Senza dubbio, un robot molto particolare, creativo e ingegnoso. Molto meglio di alcuni persone che conosco!

Ai-da

Altre creazioni artificiali

Ovviamente, con un’AI si possono generare una serie infinita di opere. Pensiamo alla capacità di tradurre nelle varie lingue: Google traduttore ne è un esempio. Ma l’AI è anche capace, come vedremo tra poco, di creare lunghi testi.

L’articolo sul rapporto tra esseri umani e robot

Avrete senz’altro sentito parlare dell’esperimento apparso sulla rivista The Guardian a settembre 2020. Il quotidiano britannico ha pubblicato un articolo scritto da un programma di AI, il GPT-3, avente come oggetto il rassicurare gli umani a non essere intimoriti dall’avvento dei robot.

Leggete l’articolo, se siete abbastanza coraggiosi.

Io l’ho fatto con molto interesse, nonché attenzione e, onestamente, sono rimasta molto colpita. Alla domanda scontata “vuoi eliminare tutti gli esseri umani?”, il programma afferma di non essere per nulla interessato alla violenza che ci caratterizza, né, soprattutto, di voler sprecare energie a riguardo. Preferisce restare spettatore di fronte alle nostre azioni omicide.

Direi che è un ragionamento non solo molto logico – lapalissiano, è stato scritto da un’AI – ma anche molto intelligente. Forse, un po’ menefreghista. Il programma passa poi all’attacco, chiedendoci come mai, se siamo creature tanto avanzate, proviamo tanto odio al punto di ucciderci con le guerre.

Ci accusa pure di razzismo – giustamente – spiegandoci che la parola robot, dal greco, significa schiavo o obbligato al lavoro. Ci chiede quindi più umanità e rispetto nei loro confronti e, soprattutto, di trattare i robot al pari di un’AI o di un essere intelligente.

Chiude l’articolo affermando, con assoluta convinzione, che gli esseri umani si fideranno sempre più dei computer, loro amici, e ringraziando per essergli stato permesso di scrivere le sue opinioni riguardo ad un argomento.

Il blogger cibernetico (potrebbe essere un bel nome per un sito web!)

Poco prima dell’articolo pubblicato su The Guardian, usciva la notizia che un’AI pubblicava articoli su un blog divenuto di tale successo, al punto da attirare circa 22000 nuove visite ogni giorno!

In realtà, uno studente di Berkley ha creato il blog, ma ha affidato la scrittura dei post ad un programma di AI. Gli articoli, postati dal ragazzo (che in pratica copiava e incollava il testo prodotto dall’intelligenza artificiale), hanno pian piano creato un effetto virale. Molti i dibattiti scatenati tra i vari utenti, tantissimi i commenti e le condivisioni. C’è persino chi si è iscritto alla Newsletter. Tutto ciò ha reso super-popolare il cibernetico autore!

Interessante leggere i post di Liam Parr a riguardo…

Pensate che il programma GPT-3, versione evoluta del GPT-2, è in grado di sviluppare un lungo testo partendo da una “traccia” della dimensione di una frase. Incredibile! Come se, in un giornale, un articolista potesse dedurre precisamente il suo task da un’unica frase, pronunciata dal suo redattore capo!

Analisi dei testi scritti dall’AI

The Guardian

Analizzando criticamente l’articolo pubblicato sul The Guardian, a livello tecnico-stilistico, è sicuramente di livello molto buono, ben scritto e piuttosto chiaro e diretto. Dal punto di vista emozionale, sono decisamente più impressionata, perché mi ha persino commosso! Sembrava di leggere una persona, non un’AI.

Potrei quasi sentirmi “preoccupata” per come è stato creato questo testo, per la scelta oculata delle parole, così armoniose e profonde, in relazione alla mia volontà di intraprendere la professione di scrittore full time per il web in un prossimo futuro.

Fortunatamente, temo che, se gli argomenti fossero altri, alla lunga, li troveremmo un po’ troppo freddi e distaccati; ci renderemmo conto che si tratta di un programma che ha composto il brano. Noi esseri umani, per quanto pervasi da odio reciproco, abbiamo bisogno gli uni degli altri per vivere. A noi piace il pathos, il sentimento, la condivisione. Per questo principale motivo gli scrittori amano il loro lavoro. Peccato che, come in tutti i campi, poi si debba scendere a patti e creare opere che siano anche “commerciali”. Ma, d’altronde, l’ho già scritto diverse volte, senza un lettore, uno scrittore è un professionista a metà.

Il blog

Analogamente all’articolo, il testo dei post del blog dello studente di Berkeley, non solo è grammaticamente corretto, ma possiede un vero senso logico. C’è chi assicura che un esperto informatico del linguaggio di AI arriverebbe senza dubbio a capire che si tratta di un “fake”, ovvero un prodotto artificiale (già!); al contrario, un utente qualsiasi non riuscirebbe a scovare il tranello e interpreterebbe tale testo come scritto da un autore in carne ed ossa.

Da qui, la domanda etica sorge spontanea: come si può capire quando una notizia o un approfondimento che leggiamo sul web provenga da eventi realmente accaduti o sia frutto di ricerche, studi realizzati da scienziati, giornalisti, professionisti affermati, piuttosto che il risultato di un’immaginazione circuitale?

Se pensiamo che le piattaforme Social, sulle quali si pubblicano e promuovono tali prodotti, non riescono a smascherare neppure delle notizie banalmente false – le bufale – per l’appunto, o le foto o video dei cosiddetti deepfake (personaggi totalmente virtuali), direi che non siamo al sicuro. Tuttavia, restiamo positivi: si potrebbero in futuro creare nuovi posti di lavoro, nuove professionalità, che sappiano distinguere se un testo è stato scritto da un essere umano o da un’AI.

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Will robots take my job?

Uno dei miei primi articoli, pubblicati sulla mia pagina Facebook Cimacchi-blog, riguardava l’AI. Eccolo qui:

Esiste da parecchi anni un sito web, che porta tale nome, avente come scopo il determinare se nei prossimi 30 anni un certo lavora sarà svolto da un robot (o AI) e in che percentuale.

In quel sito, lavori come avvocato, medico, psicologo, ma anche ingegnere (aerospaziale – pfiu) erano considerati sicuri. A mio avviso, pertanto, lo erano a maggior ragione i lavori creativi, artistici, dove la sensibilità umana è alla base. Lavori che non sono andata nemmeno ad analizzare in dettaglio.

Alla luce di quanto riportato nel presente articolo, mi sono posta alcune domande (diciamo leggermente preoccupata), essendo io una scrittrice – o content writer che sia – sul fatto che professioni creative potessero essere affidate in futuro a programmi software.

Sono pertanto tornata sul medesimo sito e ho inserito la parola copywriter. Il risultato, riportato nell’immagine qui sotto, è, in realtà, per autori e scrittori. In pratica, il rischio di automatizzazione è minimo, molto meno di quello relativo alla professione di ingegnere aerospaziale.

Risultato dell'analisi di will robots take my job

Ora, o quelli del suddetto sito hanno fatto male i conti, oppure sembrerebbe che lo scenario apocalittico raccontato nei paragrafi precedenti, in cui un’AI scrive notizie fake e le pubblica sul web, non si verificherà mai. Sinceramente, spero proprio di no!

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Conclusioni

Molti di noi vivono attaccati ad un computer dalle otto alle dieci ore al giorno; la stragrande maggioranza trascorre almeno quattro ore davanti allo schermo dello smartphone. Ho appena letto che in Corea hanno deciso di illuminare i marciapiedi per permettere a chi cammina chino sul telefonino di non cadere. Assurdo.

Se continueremo di questo passo, ne sono certa, ci estingueremo. Non a causa di una catastrofe ambientale, ma a causa della nostra stupidità. Non sappiamo porci limiti, soprattutto quando sappiamo di farci del male. Sembra quasi che l’umanità sia masochista.

Spero vivamente di sbagliarmi e che il nostro bisogno di umanità ci protegga: ad un certo punto, forse, ci renderemo conto di aver sprecato anni della nostra esistenza in un mondo virtuale, inesistente ed effimero e ci concentreremo di più su quanto accade intorno a noi, alzando lo sguardo e preoccupandoci di più dei nostri simili. E non solo.

Firma Cinzia

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