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Episodio numero 13 del mio Podcast Articoli in voce

Indice

1. Cosa significa feedback?

2. Come si usa il feedback in generale?

3. Il feedback nella vita professionale

4. Consigli ai manager

5. Conclusioni

Il feedback, questo sconosciuto

Ascoltando un Podcast sul feedback di uno psicologo giovane, molto preparato, che tratta uno degli argomenti che più mi stanno a cuore, sia a livello privato, sia (soprattutto) a livello lavorativo, ho pensato di pubblicare un approfondimento come spunto di discussione, per stimolare i vostri feedback…appunto!

Cosa significa feedback?

Ma che cosa significa questo termine inglese?

Di per sé è già difficile tradurlo con una parola mantenendone lo stesso impatto ed è per questo probabilmente che non lo si fa.

Se lo cerchiamo sul traduttore di Google, ci viene proposto il termine “risposta”, che ritengo più adatto all’ingegneria dei sistemi, anziché alle relazioni umane o alla psicologia. Personalmente preferisco identificarlo con la parola “ritorno”, perché indica qualcosa che torna indietro (da non confondersi con la parola boomerang, molto più pericolosa!).

    Di seguito riporto le traduzioni del dizionario Oxford:
  1. Nel linguaggio tecnico e scientifico, processo per cui il risultato dall’azione di un sistema (apparecchio, dispositivo, o meccanismo) si riflette sul sistema stesso per correggerne o modificarne il comportamento.
  2. In linguistica e anche in psicologia, effetto retroattivo di un messaggio o di un’azione su chi li ha promossi.

Come afferma correttamente lo psicologo sopracitato (Gennaro Romagnoli), senza ricevere un feedback, non saremmo in grado di dare un giudizio imparziale sulle nostre azioni.

Ciò significa che non saremmo certi di essere stati utili a qualcuno, di aver eseguito bene un compito, di essere persone piacevoli, ecc.; la casistica che si apre su questo tema è davvero molto ampia.

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Come si usa il feedback in generale?

Innanzitutto, esistono due tipi di feedback: quello positivo e quello negativo. Entrambi possono essere difficili da comunicare, sia a persone vicine, sia a conoscenti, sia a colleghi (o capi!) ed è per questo che molto spesso ricorriamo ai cosiddetti feedback indiretti, ovvero non esprimiamo le nostre opinioni in faccia al soggetto, ma ad altri, mettendo le base al fenomeno del gossip.

In quale situazione?

Primo punto di cui tenere conto in ogni situazione: il feedback dev’essere fornito in relazione ad un’azione (in senso lato) e non alla persona che l’ha compiuta. Questa differenza è fondamentale per non incappare in loop che possono portare, in extremis, alla distruzione delle relazioni.

Il feedback positivo

Pensiamo in primis a quelle personali: più il rapporto che abbiamo con qualcuno è stretto, più è difficile comunicare a tale persona che ha commesso un errore, che non si è comportato bene, che ci ha deluso, ecc. in una determinata situazione. Più semplice sicuramente è il contrario.

Anche in questo caso, però, ciò che diciamo all’altro dovrebbe essere il più possibile sincero. È questa la caratteristica fondamentale del feedback, in assenza della quale, rischia non solo di essere inutile, ma anche dannoso.

Dire a qualcuno che ha realizzato un video perfetto e accattivante, ad esempio, se non è la verità, non significa aiutarlo, al contrario, lo si illude e non lo si sprona al miglioramento.

Il feedback negativo

Personalmente, ritengo che il feedback debba essere concesso anche laddove non esplicitamente richiesto, specialmente se lo riteniamo importante per l’altro.

Infatti, per quanto mi riguarda, più voglio bene a qualcuno, più mi impegno ad esprimere la mia opinione, cercando di essere il più possibile oggettiva e precisa.

Se in alcuni casi (in particolare quando non è positiva) può sembrare una critica, confermo che l’unico motivo è aiutare quella persona ad avvicinarsi ai risultati prefissati, per raggiungere i quali ha sicuramente dedicato (e dedicherà in futuro) notevoli sforzi ed energie.

Va da sé che si possa vedere il feedback come una specie di “do ut des”: se quanto esprimiamo è preciso, circoscritto e sincero, se evitiamo termini offensivi e offriamo la famigerata critica costruttiva, possiamo stimolare l’altra persona ad agire nello stesso modo nei nostri riguardi, invitandola a darci un ritorno sulle nostre azioni.

In questo caso, sarà, come minimo, un’occasione di crescita per entrambi, sia per i motivi sopraddetti, sia perché sforzarci di esprimere la nostra opinione ci aiuta a riflettere, ad analizzare, a non essere superficiali, e in ultimo, come effetto non trascurabile, può essere gratificante. Ovviamente, come in tutto, non si deve esagerare.

Come gestire i feedback

A ciascuno piace ricevere apprezzamenti, complimenti, riconoscimenti, soprattutto se abbiamo faticato per arrivare a quell’obiettivo.

Probabilmente, in questo contesto di scambio positivo, ci potremmo accontentare anche di un commento non specifico. Ritengo tuttavia che ci si debba adoperare ugualmente per renderlo tale, perché dà migliori risultati (e più duraturi) nell’altra persona.

Il mio consiglio (interpretabile anche come auspicio) è: diamo un feedback negativo quando abbiamo davvero qualcosa da dire e che pensiamo sia utile per chi lo riceve, il più possibile mirato e perimetrato. Sentiamoci liberi invece di esprimere un feedback positivo in qualunque occasione, anche se in modo generico. Male non farà, anzi, purché, lo ripeto, sia sincero.

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Il feedback nella vita professionale

Naturalmente, tutti i concetti sopra espressi si applicano, anche e soprattutto, nell’ambito lavorativo.

Certi studi hanno confermato addirittura che alcuni feedback comunicati su un particolare compito assegnato sono più gratificanti di una ricompensa economica. Sicuramente si aprirebbe un bel dibattito se fossimo attorno ad un tavolo. Vi espongo il mio personalissimo punto di vista.

I compensi variabili

Premetto che in alcune aziende in Italia e in altri Paesi, i manager possono essere “premiati” sulla base di una porzione variabile del proprio stipendio, il cosiddetto MBO (Management By Objectives): i direttori stabiliscono gli obiettivi aziendali che sono scalati lungo la struttura: ciascun manager, partecipa alla definizione degli obiettivi dei propri collaboratori, associando la percentuale della RAL stabilita dal Personale.

Chiaramente, i risultati ottenuti sono dipendenti sia dalle attività svolte dalla persona singola, sia dalla performance aziendale.

Questo è un ottimo incentivo che però funziona correttamente se da entrambe le parti c’è un impegno costante e serio. In Francia, ad esempio, questa forma di valutazione del dipendente era veramente ben applicata, soprattutto perché legata ai soli risultati ottenuti dalla persona.

Si spendevano ore sia per la stesura iniziale degli obiettivi, che per le review, schedulate ogni sei mesi (semestrale e finale). I risultati erano, come potete immaginare, non solo tangibili, ma eccezionali: le persone si impegnavano molto, non solo per aumentare la loro percentuale di stipendio aggiuntivo, ma anche per orgoglio personale.

Sapere di essere stato il migliore del gruppo per quell’anno è una grande soddisfazione e contribuisce ad un mantenimento sano della propria autostima.

I compensi “virtuali”

Tornando alla ricompensa “virtuale”, posso affermare fuori dai denti che la pacca sulla spalla è il minimo sindacale e non può essere sostitutiva di un riconoscimento tangibile da parte del datore di lavoro.

Ricordo sorridendo un collaboratore esterno (sviluppò anni fa alcuni pacchetti software per il progetto che dirigevo) che, per complimentarsi del lavoro svolto (inizialmente è stata una vera impresa, non tanto per la qualità, ma per aver tenuto le tempistiche, nonostante i numerosi intoppi incontrati), aveva disegnato il contorno della sua mano su un foglio e, dopo averlo appiccicato al muro, ci si appoggiava a ripetizione con la spalla. Un genio. Ammetto di averlo imitato in almeno un paio di occasioni!

I vari tipi di feedback

Ricevere un feedback di questo tipo, qualcuno potrebbe dire, è già un passo in avanti. Verissimo, perché la maggior parte delle volte sul lavoro non si riceve nulla. Personalmente ritengo che non donare un feedback, positivo o negativo, sull’operato sia sbagliato. Con li giusto metodo però! Infatti, ricevere un ritorno comunicato in modo sbagliato può essere contro-producente!

Ad esempio, a volte accade che si facciano le pulci ai documenti per poi non darne ritorno sull’effettiva utilità. Dire o sapere che, non solamente è stato svolto un buon lavoro, ma che questo abbia contribuito all’avanzamento dei piani aziendali, è davvero un forte strumento motivante. Purtroppo, in pochi lo capiscono.

Oppure, dare un feedback negativo inizialmente, per poi ravvedersi strada facendo, è altrettanto poco efficace. Perché smonta subito gli entusiasmi e demotiva a lungo termine. Piuttosto, impariamo ad usare la tecnica del panino di m. (grazie Gennaro anche per questa rivelazione!!).

Questa consiste nell’avvolgere la m. in due strati di pane, proprio come in un sandwich. Se dobbiamo dire qualcosa di negativo ad un collaboratore, ad esempio, poniamo prima l’attenzione su una parte ben riuscita (anche a livello comportamentale) e, dopo aver esposto la nostra critica, troviamo un altro punto per cui siamo soddisfatti. In tal modo, la m. si digerirà molto più facilmente a livello personale e psicologico!

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Consigli ai manager

Ripensando a quanto visto (talvolta vissuto) in questi venti anni in diverse aziende, tutti i manager, di tutti i livelli, dovrebbero come minimo applicare due semplici regole:

  1. Dare un feedback a tutti (tutti!) i propri collaboratori, soprattutto quando assegna loro un particolare task
  2. Chiedere un feedback ai propri collaboratori (tutti!)

La mia esperienza

Nell’azienda in cui lavoro attualmente, prima di entrare in AS, era stato istituito il “jour fixe”, un appuntamento settimanale in cui capo e collaboratore si scambiavano i rispettivi feedback. Purtroppo, ho partecipato solamente ad un paio di incontri (come collaboratrice), e, seppure l’idea fosse buona, non sempre era ben messa in pratica. Infatti, spesso il feedback era più diretto alla persona che alle attività da lei svolte.

Se avete letto con attenzione la prima parte di quest’approfondimento, ricorderete che lo scambio dev’essere relativo ad un’azione, ad un task, ad un comportamento in situazioni identificate, ecc.; specifico e rilevante, come si direbbe tra professionisti.

Soprattutto perché, ad esempio, è estremamente più efficace dire a qualcuno “ricordati di organizzare la riunione di wrap-up ogni settimana” che “non sai gestire le persone”. Il secondo è un attacco personale, così come quando si da dell’incompetente a qualcuno. Ci sono svariati motivi per cui una persona ha sbagliato o non ha eseguito perfettamente quando richiesto e dobbiamo cercare di portarli alla luce evitando generalizzazioni.

Il feedback è anche utile nella gestione dei progetti: non a caso, dopo la chiusura, si organizza una “round table” con i principali stakeholders per raccogliere tutte le “lesson learned” durante l’esecuzione. Ciò costituisce un vero e proprio tesoro, per evitare in futuro di ripetere gli stessi errori, oppure per riapplicare, sempre nell’ottica di miglioramento, quanto seguito bene. A proposito, ho scritto un bell’articolo sul Project Management.

Perché un buon capo chiede spesso un feedback sul suo operato

Non è perché siamo responsabili di qualcuno che possiamo pensare di essere perfetti. Siamo lontani dall’esserlo (non parlo per tutti, ovviamente; sicuramente tra voi c’è qualche dirigente illuminato) e sapere dove siamo in difetto e in che ambito possiamo migliorare, non solo ci fa crescere professionalmente, ma anche umanamente.

Continuare a credere, invece, che siamo manager fantastici e apprezzati da tutti, quando in realtà è l’opposto, è davvero egoistico e riduttivo. Essere sicuri (perché ce lo hanno detto) che il nostro agire motiva le persone anche in tempi difficili, che siamo empatici, ascoltando attivamente, e che agiamo per il bene di tutti, è sempre un enorme piacere, nonché soddisfazione.

Vale la pena impegnarsi per ottenere dei ritorni di questo tipo! Ci fa sentire persone migliori.

Scrivendo ciò mi è sorto un leggerissimo dubbio (cit. Fantozzi): può essere che un manager insicuro o arrogante abbia timore di chiedere un feedback, perché sa che alcuni collaboratori potrebbero crocifiggerlo e pertanto sarebbe costretto a ravvedersi, mentre non ha alcun interesse a farlo? E che se anche lo chiedesse, considererebbe solamente il feedback proveniente dai suoi tirapiedi preferiti?

Mentre un manager capace, competente, che vuole davvero migliorarsi ogni giorno, non ha timore dell’opinione altrui, anzi, è stimolato nel riceverla. In questo caso, il bravo manager chiederà il feedback a tutti i dipendenti, soprattutto ai più sinceri e diretti.

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Conclusioni

Infine, ricordiamoci che il feedback è legato anche alla cultura: si riscontrano comportamenti diversi tra le varie popolazioni. Ad esempio, parerebbe che i nostri amici anglosassoni non siano particolarmente dotati nell’esprimere un feedback, specialmente in ambito lavorativo, perché tendono a non esporre un’opinione negativa perfino quando dovrebbero.

Attenzione, perciò, da chi proviene il feedback: non sempre il gioco vale la candela.

Spero che anche questo approfondimento, un po’ serio per il periodo, vi sia piaciuto!

Lasciatemi un commento sulla vostra esperienza, privata o professionale!

A presto,

Firma Cinzia

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