Privacy e Facebook

di Cinzia Macchi | Articoli in pillole

Indice

1. Facebook

2. La Privacy

3. Profilazione degli utenti

4. I Social e l’uso che fanno dei nostri dati

5. In difesa dei nostri dati

6. Conclusioni

Pre-Meta: il business dell’ideatore di Facebook

Da qualche settimana, il gruppo Facebook ha cambiato nome, diventando Meta, il cui simbolo, l’infinito, non fa presagire nulla di buono. Prima di affrontare questo argomento, oggetto del prossimo articolo, vorrei chiarire alcuni concetti legati alla Privacy, in particolare nel mondo dei Social.

Facebook

Nonostante molti lo diano per spacciato, Facebook è ancora il Social più famoso e più frequentato, nonché il primo vero della storia. Tuttavia, è anche il più invischiato in cause legali, scandali, violazioni varie, ecc. Non tutto ciò che è legato a Facebook è negativo, anzi. Su questo Social, non solo è possibile informarsi, ritrovare amici, conoscere persone nuove, accertarsi che in caso di calamità i nostri amici stiano bene, ecc., ma si possono creare profili aziendali, shop online, campagne di marketing, ecc. Diamo a Cesare quel che è di Cesare.

Mark Zuckerberg

Parlare di Facebook, senza nominare il suo ideatore, è pressoché impossibile.

Premetto di non essere una fan di Mark Zuckerberg. In primis, non stravedo per le sue applicazioni native (Facebook, ma per me vale un po’ per tutti i Social), mentre giustifico l’esistenza di Whatsapp. Pure Instagram potrebbe non esistere nel mio mondo ideale (del Mulino) e non me ne accorgerei.

Inoltre, nel film The Social Network, che ho visto molte volte e che ho molto apprezzato, questo genio/nerd è stato presentato piuttosto come un ragazzetto viziato e spocchioso. Opinione che poi, non si è mai riscattata, soprattutto dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, piattaforma alla quale Mr Zuck aveva letteralmente venduto i dati di milioni di utenti Facebook, senza aver chiesto il loro (e nostro) permesso.

Mark Zuckerberg CEO di Facebook nel 2019 Keynote

Crediti immagine: Anthony Quintano from Westminster, United States.

Lo scandalo

A proposito di Cambridge Analytica, Il Post ha pubblicato un bell’approfondimento su questo avvenimento, che vi consiglio di leggere.

Un piccolo riassunto sulle finalità della società britannica in questione: intrecciare la raccolta dei dati di milioni di utenti sui vari Social, nonché e la loro analisi, con le comunicazioni in campagna elettorale. Proprio il metodo usato dall’ex Presidente Trump per vincere le elezioni nel 2016.

Per dirla con le parole del Post:

Cambridge Analytica è specializzata nel raccogliere dai social network un’enorme quantità di dati sui loro utenti: quanti “Mi piace” mettono e su quali post, dove lasciano il maggior numero di commenti, il luogo da cui condividono i loro contenuti e così via. Queste informazioni sono poi elaborate da modelli e algoritmi per creare profili di ogni singolo utente, con un approccio simile a quello della “psicometria”, il campo della psicologia che si occupa di misurare abilità, comportamenti e più in generale le caratteristiche della personalità. Più “Mi piace”, commenti, tweet e altri contenuti sono analizzati, più è preciso il profilo psicometrico di ogni utente.

Cambridge Analytica può essere pertanto definita un “broker di dati”, ovvero società che raccolgono informazioni di ogni genere sulle abitudini e i consumi delle persone.

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La Privacy

Il tema della Privacy degli utenti sul web è spesso uno dei più caldi e da diverso tempo e molto legato ai Social. In Europa, per fortuna, siamo un po’ meglio tutelati rispetto al resto del mondo grazie al GDPR (General Data Protection Regulation), che contiene la normativa per la protezione dei dati personali.

Chiunque tratti i dati degli utenti, siano dati sensibili o meno, è fortemente tenuto a rispettare tutte le regole se non vuole incorrere in pesanti sanzioni o – peggio – alla chiusura dei propri siti web.

Non tutti si rendono conto che ogni qual volta riempiamo un form con il nostro nominativo, la nostra e-mail e/o il nostro numero di telefono, diventiamo potenzialmente vittime di spam commerciale. Con questo termine intendo tutte le comunicazioni non desiderate, che siano pubblicità, sondaggi, concorsi, newsletter, promozioni, ecc. fino alle telefonate da veri e propri stalker, che ogni giorno tempestano i nostri cellulari (ricordati di iscriverti al registro delle opposizioni). Avete mai provato a chiedere allo scocciatore di turno dove ha preso i nostri dati? Molto spesso mi sento dire che ho compilato un form. Peccato che per telefono non possa averne prova. Ad ogni modo, nel 99% dei casi, appendo e senza troppe cortesie.

Pensiamo per un momento a tutte le volte che abbiamo intenzionalmente lasciato i nostri recapiti perché ci interessava un prodotto e poi il sito relativo subisce un attacco informatico e i criminali (non chiamateli hackers, per favore, perché quelli veri non rubano e soprattutto non chiedono soldi in riscatto, ma semmai una rettifica di comportamento) vendono sul dark web i nostri dati. A proposito, ho scritto un bell’articolo sui vari tipi di attacchi a cui potremmo essere soggetti durante la navigazione o solamente con la ricezione di e-mail di phishing).

I nostri account

Quante volte il portachiavi di Chrome o di iOS vi ha avvertito che una delle vostre password è stata violata e che dovete cambiarla ASAP, per evitare che tutti gli account ad essa collegati  siano a loro volta vittima di attacchi? Bisogna correre ai ripari immediatamente se si usa quella password per gli account bancari!

Esiste un sito che vi dà questa info, se la chiedete. Fateci subito un salto, non si sa mai!

Profilazione degli utenti

Lasciando da parte i pericoli veri della navigazione online, è molto più interessante occuparci invece della nostra profilazione: nel marketing esiste il concetto di targeting e di buyer personas (leggete questo articolo che ho pubblicato sull’e-commerce). In pratica, a seconda di come agiamo sul web, poiché tutto (proprio tutto!) è tracciato rigorosamente (a meno che noi non lo vietiamo espressamente), è facile risalire alle nostre abitudini. Cosa acquistiamo, quando, per chi, a che prezzo, con che regolarità, ecc.

Amazon e tutti i negozi, online e molti anche fisici, possiedono questi dati per migliorare le loro performance di vendita. Se per i negozi online è lapalissiano che traccino i dati, per quelli fisici è altrettanto semplice, grazie alle famose tessere di fedeltà. Coop, Tigotà, Esselunga, ma anche Mango, Pinko, H&M, e così via, usano i dati accumulati sulla tessera, per capire le nostre abitudini di acquisto. Una volta raccolti i dati, entrano in un algoritmo, il quale, schedando e classificando i nostri acquisti, ci dovrebbe aiutare nella scelta di prodotti che ci servono, spesso anche in modo più conveniente.

Tessere fedeltà di vari negozi

Le previsioni degli algoritmi

Riflettiamoci un attimo (o, per dirla alla Zaia, ragioniamoci sopra): quanto sono valide queste previsioni? Se posso dire la mia, alcune andrebbero indubbiamente migliorate. Ad esempio, l’algoritmo di Amazon non capisce che, appena acquistato un prodotto, difficilmente lo riacquisterò se si tratta di un device elettronico. Un po’ meglio se penso alle offerte, che si basano, banalmente, sulla cronologia della navigazione (quali prodotti ho visualizzato).

Ad ogni modo, raramente ho acquistato qualcosa perché suggerito da un algoritmo. Tuttavia, se in futuro questi ultimi migliorassero nell’analisi, sono convinta che i venditori otterrebbero risultati incredibili. Forse bisognerebbe investire un po’ più di denaro nel loro sviluppo, creando anche occupazione.

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I Social e l’uso che fanno dei nostri dati

Infine, arriviamo al dunque: i Social.

Tempo fa, avevo letto un commento, credo nel profilo “Commenti memorabili” in cui un utente, a proposito di Cambridge Analytica e dello scandalo creatosi attorno a Zuckerberg, disse: “lamentarsi della violazione della Privacy da parte di Facebook, è come lamentarsi di qualcuno che ti tocca il sedere durante un’orgia”. Fantastico e corretto al 100%

Infatti, siamo ormai tutti consci (tu anche?!) del fatto che, quando un prodotto è gratis, in realtà il vero prodotto siamo noi. Questo vale per tutto: dagli antivirus, a tutti i servizi con account free, fino ad arrivare ai Social, i re assoluti in questo campo.

Vi sarete senza dubbio accorti che, oltre a promuovere interessanti incontri con persone totalmente sconosciute, amici di amici, profili abbinati un po’ a casaccio, il buon vecchio (mica tanto, fortunato lui) Mark ci riempie il feed di pubblicità di varia natura. Ecco il vero business!

Il business di Facebook

Ma come fa Facebook a promuovere i contenuti degli utenti, siano essi privati o professionali e pertanto legati ad una possibile conversione (acquisto)?

Ogni volta che mettiamo un like, che sia ad una persona fisica o ad un’azienda, ad un gruppo, ad un personaggio famoso, ad una band, un film, o ad un post, Facebook comincia a profilarci. Ogni nostra mossa è tracciata e inserita in un database di informazioni, date in pasto al famigerato algoritmo proprietario, che sputa fuori il risultato tanto atteso.

Chi utilizza Facebook Ads, ad esempio, dispone un certo budget (abbastanza esiguo) per raggiungere un gruppo più ampio di persone rispetto a quelle “organiche” che garantirebbe con un normale post, non sponsorizzato. L’idea, molto semplice, quanto efficace, si basa su una gestione “mirata” dei dati, che, pur avvantaggiando i mandanti, senza dubbio è a vantaggio della piattaforma in questione. Giustamente, Mark Zuck, un po’ di soldi deve pur farli anche lui.

I risultati organici

Riguardo ai contenuti non sponsorizzati, va detto che l’algoritmo di Facebook premia i contenuti che generano interazione tra gli utenti: oltre ai già citati like, commenti e condivisioni aiutano il post pubblicato a raggiungere più utenti.

Ecco perché spesso (non troppo per non sembrare invadente) chiedo anche a voi di darmi una mano in questo senso. Mi piacerebbe che sempre più persone leggano i miei contenuti – se sono per loro interessanti e utili – e che li consiglino a loro volta ad amici e conoscenti. Una specie di passaparola digitale. Dopotutto, ci fidiamo molto di più di un amico che ci suggerisce qualcosa, rispetto ad un algoritmo. Giusto, vero?

Nel mio caso, poiché scrivo contenuti di attualità, il target a cui mi rivolgo è molto vasto: potenzialmente, i miei articoli possono essere letti da chiunque. Per questo motivo, cerco sempre di essere più chiara possibile, di seguire un ordine logico, di sintetizzare quando lo ritengo opportuno (quindi, molto poco!), di semplificare concetti complessi e fornire il necessario background (ad esempio gli acronimi o i termini tecnici specifici) o alcune spiegazioni per evitare di perdere i lettori al primo termine un po’ più di nicchia.

A proposito, piccola Call to Action per voi: perché non sfruttiamo questo articolo per darmi la vostra opinione su quanto leggete sul mio blog? Riesco nell’intento che mi sono prefissata , ovvero di raggiungere un pubblico ampio, senza annoiarlo, senza confonderlo, senza farlo scappare dopo le prime 550 parole?

Scrivetelo nei commenti! Sarà utile per migliorarmi ed essere ancora più utile per voi.

Facebook adv

Se invece si utilizzano gli adv (advertisement, ovvero annunci pubblicitari) messi a disposizione, indichiamo a Facebook quali utenti volgiamo raggiungere, i nostri target, appunto, scelti in base agli interessi, all’età, alla posizione geografica, ecc. Facebook farà quindi magicamente apparire il nostro post nel feed di tutti questi potenziali clienti. Questo corrisponde al processo di Lead Generation, il primo step del funnel del marketing o delle vendite, che dir si voglia.

La potenza di fuoco di questo tipo di targeting è formidabile: personalmente, come vi dicevo, non l’ho ancora usata, ma ho provato alcuni draft per metterla alla prova. In pochi passaggi, Facebook mi proponeva una platea di centinaia di migliaia di profili! Chiaramente, dipende sempre da chi abbiamo deciso di indicare come potenziale cliente. Badate bene che con la parola cliente, intendo qualcuno che possa interagire con chi crea un contenuto. Esattamente come voi nel mio caso specifico.

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In difesa dei nostri dati

Le app che recuperano i nostri dati sparsi sul web

Un annetto fa, ricordo che ci fu il tormentone delle App (tra le tante, Weople) che si proponevano per proteggere i nostri dati dai “furti” organizzati dai Social e dai negozi supermercati in particolare) in un modo che mi aveva lasciato un po’ perplessa. Queste app chiedevano ai propri utenti un mandato per reclamare tali dati, per poi archiviarli in una specie di portafoglio digitale. A quel punto, gli iscritti avrebbero potuto sfruttare il proprio tesoretto monetizzandolo, ad esempio.

In pratica, tali app recuperano i nostri dati sparsi per il web e ci propongono di chiedere un compenso alle app di terze parti per poterli usare (i.e. Facebook). L’intento era sicuramente nobile, ma, viste le opposizioni da parte del Garante della Privacy, alcune superate recentemente, nonché il muro innalzato dalle terze parti – per ovvi motivi – la startup in questione non è riuscita, almeno per il momento, ad assicurarsi un futuro certo, ovvero un fatturato positivo, lamentando un calo sempre più marcato dei propri utenti.

Apple e la nostra Privacy

Oltre al GDPR, anche Apple ha pensato di proteggere i suoi utenti. Non so se vi siete accorti, ma dall’ultima release dell’iOS (il 15), ogni volta che ci colleghiamo ad un’app, il nostro iPhone ci chiede se vogliamo acconsentire al tracciamento dei dati.

Nuovo sistema operativo di Apple che difende la nostra Privacy

Ciò ha creato non pochi problemi in casa Facebook, dove ora è non è più possibile avere gli insights sugli utenti dettagliati come una volta. Anch’io ho perso molti dati che potevano essermi utili. Tuttavia, Meta ha messo a disposizione i dati sul pubblico in maniera più integrata tra le varie piattaforme.

Gli esperti del settore non credono tanto alla filantropia di Apple, quanto piuttosto ad una strategia di marketing, volta ad attirare le simpatie degli utenti in vista, chissà, di un’applicazione della casa di Cupertino nel mondo degli advertisement. Ipotesi molto plausibile. Staremo a vedere.

I famigerati Cookie

Da anni i Cookie rappresentano l’incubo peggiore pe tutti: per noi sviluppatori, perché dobbiamo creare i menù per la loro gestione, assicurandoci che l’utente scelga consapevolmente se acconsentire al loro tracciamento o meno; e per gli stessi utenti, che ogni volta che approdano su un nuovo sito web, devono sbattersi per salvare le preferenze.

Per fortuna, non tutti i Cookie sono uguali. Quelli pubblicitari, di sicuro più dannosi per la salute, hanno vita breve. Infatti, Google ha dichiarato che dal 2023 (data prevista era il 2022) il proprio browser Chrome non supporterà più quelli di terze parti, impedendo così l’identificazione univoca degli utenti per il tracciamento, la profilazione, il retargeting. Per gli utenti significa più privacy dei propri dati sul web e, soprattutto, meno banner pubblicitari nelle pagine che visitano!

Se volete approfondire, potete leggere questo articolo.

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Conclusioni

La normativa in campo Privacy, che protegge i nostri dati, è utile per poterci difendere da chi ci sfrutta per generare business. Indubbiamente, sta soprattutto a noi cercare di non farci troppo irretire nel compilare form su qualunque sito o app, solamente perché ingolositi da qualche eBook o whitepaper da scaricare oppure attirati da promozioni di ogni sorta. Se proprio non possiamo farne a meno, cerchiamo almeno la risposta alle seguenti domande:

  • Il sito è affidabile? Possiamo basarci sulle recensioni, ma – attenzione – non sempre sono imparziali!
  • Il sito dichiara le sue Privacy Policy e Cookie Policy?
  • Una volta compilato il form per l’iscrizione, posso annullare quest’ultima in qualsiasi momento?
  • Quante e-mal riceverò?
  • È possibile cancellare il mio account?

Tutto questo discorso, oltre che ad essere super interessante e super importante per tutti noi, mi è servito come introduzione al prossimo articolo che avrà per oggetto: Meta(verse).

Spero di essere stata ancora una volta utile e che vi sia piaciuto il mio pezzo. Se vi va, condividetelo sui vostri canali Social. Appunto. LOL

A presto!

Firma Cinzia

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